Da quando è uscito il nome di Mario Draghi come prossimo premier fino all’incarico e la formazione del nuovo Governo, tutte le testate giornalistiche hanno evidenziato come lui e altri 5 ministri siano senza social network. Un netto cambio di passo rispetto sia a Giuseppe Conte che ai Governi precedenti dove la comunicazione politica ma anche quella istituzionale è passata attraverso tweet, post e dirette su Facebook. Posizione che è stata rafforzata dall’invito ad una comunicazione più sobria a cui si è aggiunta la scelta di Paola Ansuini alla direzione della comunicazione di palazzo Chigi, in arrivo direttamente dalla Banca d’Italia e la volontà di comunicare solo quando c’è qualcosa da dire.
Da questi presupposti si aprono alcuni scenari: il primo è la speranza di vedere la riduzione di tutti quegli articoli che nascono intorno ad un tweet o ad un post su Facebook di un politico o di un ministro che poi non trovano riscontro nell’attività concreta di Governo, creano confusione e alimentano le fake news e che si torni ad un giornalismo fatto di raccolta e verifica delle fonti e delle notizie. L’ultimo esempio ha riguardato proprio Brunetta subito dopo la sua nomina come ministro della PA. Una testata ha infatti ripreso una sua dichiarazione di giugno 2020 sullo smart working (mettere fine allo smart working e riaprire tutti gli uffici pubblici). La dichiarazione è stata rilanciata dandola come primo atto del ministro quando invece si riferiva ad un contesto totalmente diverso da quello attutale. Numerose testate hanno ripreso questa notizia a cui sono seguite le necessarie scuse e rettifiche. Si poteva evitare? Certo, bastava una ricerca su Google o sulla testata stessa per ritrovare la stessa notizia pubblicata oltre sette mesi fa.
Il secondo riguarda i politici e tutti i ministri che sono stati scelti all’interno di un partito e non sono tecnici. Questi continueranno a fare comunicazione politica e a twittare e postare le attività che quotidianamente svolgono e portano avanti con il proprio ruolo attraverso gli account ufficiali. Questa annunciata sobrietà non credo si andrà a rispecchiare nella comunicazione politica. Come si legge su Il Sole 24ore: “Nel Conte-bis i ministri presenti su Facebook erano il 96% mentre nell’attuale Governo la percentuale è scesa al 58%, su Instagram la percentuale era prima dell’83% invece adesso è al 54%, su Twitter si passa dal 96% al 67 per cento. In termini assoluti, sommando i follower dei 3 social media di tutti i ministri, al 12 febbraio il Conte-bis contava appunto su 13milioni e 700mila seguaci, mentre la squadra di Draghi può contare su 6milioni e 700mila fan. Queste differenze sono provocate in buona parte dalla mancata necessità di creare consenso o tifoseria da parte di molti tecnici presenti, compreso il Presidente del Consiglio, e dunque della non necessità di dover aprire o in altri casi curare, attività di social media marketing. Sarà interessante capire le scelte, iniziando dallo stesso Mario Draghi, sulla volontà di aprire attività social”.
L’ultimo punto che vorrei sottolineare e che mi auguro è che proprio a causa di questa scarsa presenza social si dia un ruolo di primo piano agli account istituzionali. Ridiamo forza agli account della Presidenza del Consiglio, del Ministero della Salute e di tutti gli altri (a differenza di quanto è stato fatto per esempio da Giuseppe Conte dove le dirette erano annunciate e riportate in prima battuta solo sulla sua pagina personale, elemento che ha fatto crescere notevolmente il suo numero di follower). Si tratta di account già attivi, presidiati e con un buon numero di follower. In questo modo andremo a consolidare la presenza social di queste istituzioni che saranno ulteriormente punto di riferimento per le comunicazioni sull’emergenza sanitaria in corso e sulle attività di Governo che vengono portate avanti al di là del politico o il tecnico di turno che ricopre l’incarico. In questo modo, infine, anche il presidente del Consiglio e i Ministri non potranno fare a meno dei social network e le comunicazioni saranno presenti e veicolate sui social attraverso questi account.
Ps: aggiungo in calce, e resta sempre valido, che non dobbiamo demonizzare lo strumento (non possiamo pensare di smettere di utilizzare i social anche per le opportunità di contatto che offrono tra cittadini e enti pubblici), ma come vengono utilizzati e tutte quelle pratiche contrarie alle condizioni dei social che alimentano le fake news, cyberbullismo, clickbait e tutte le altre scorrettezze.
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