L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo è una realtà veramente complessa e credo che nessuno di noi se la senta di sostituirsi con chi ha il compito di prendere le decisioni. Certo è che non tutti i provvedimenti e le soluzioni individuate sono andate a buon fine. Se a marzo l’impreparazione e alcuni scivoloni comunicativi potevano essere giustificati perché eravamo di fronte ad una situazione del tutto nuova, l’attuale impreparazione e la ripetizione di errori che vanno avanti da mesi non sono accettabili. Mi riferisco soprattutto alla completa impreparazione nel gestire la seconda ondata (proprio perché tanto annunciata), durante l’estate ci siamo rilassati tutti, soprattutto coloro che avrebbero dovuto predisporre i protocolli per il trasporto pubblico locale, per la scuola e per un rientro a lavoro in sicurezza. Questo ha causato il completo black out della strategia delle 3T (Testare, Tracciare, Trattare). Fin da subito questa strategia è stata dichiarata come alla base della gestione italiana dell’emergenza, purtroppo con il rapido aumento dei contagi è completatamene saltata a partire dal tracciamento diventato impossibile a causa del poco personale a disposizione di fronte ad un numero sempre maggiore di positivi.

Non è certo compito mio elencare o evidenziare cosa non ha funzionato, ci sono però due elementi che non riesco ad accettare e che sottolineano ancora l’impreparazione, la superficialità e il mancato confronto che sta caratterizzando la gestione italiana dell’emergenza Covid-19.

Il primo è certamente dato dalla facilità, nonostante siano passati più di otto mesi, con cui continuano a circolare bozze di decreti e indiscrezioni sui provvedimenti che poi, al momento della conferenza stampa, si rivelano diversi e inesatti. L’ultimo caso è quello del DPCM che è entrato in vigore il 6 novembre e che ha introdotto i colori per classificare le Regioni e i provvedimenti da applicare. Fino a poche ore prima della conferenza stampa si pensava che tra i colori ci sarebbe stato anche il verde, colore che poi fortunatamente è stato sostituito dal giallo anche perché avrebbe potuto generare tranquillità in una situazione che è tutto il contrario. La circolazione di queste bozze o articoli sui giornali che anticipano provvedimenti per il Natale, quando ancora non c’è nulla di scritto generano in tutti noi ulteriore confusione, incertezza e sfiducia verso i decisori in una situazione che è già di per sé molto delicata.

A questo si aggiunge l’enorme quantità di dati che vengono diffusi quotidianamente sul Covid-19, dati che essenzialmente non sono accessibili e trasparenti. Abbiamo i dati sui positivi, sui tamponi effettuati, sui decessi, sui ricoveri in ospedale, a cui ultimamente si sono aggiunti i 21 parametri con cui vengono stabiliti i colori delle Regioni, ma sappiamo veramente su cosa si basano? I dati vengono diffusi quotidianamente, spesso senza contesto e siamo privi degli strumenti che ci permetterebbero di capire realmente l’evoluzione di questa emergenza e se i provvedimenti applicati sono realmente efficaci e se arrivano nei tempi giusti. Anche su Immuni abbiamo pochissime informazioni, sappiamo quanti sono i download della app, ma poi non conosciamo quanto sono gli utenti realmente attivi. Insomma siamo bombardati di dati che non capiamo e che ci hanno praticamente assuefatti.

Per questo motivo ho firmato la petizione e voglio rilanciare l’appello di organizzazioni, giornaliste e giornalisti e di cittadini per #datiBeneComune. Con una lettera aperta chiedono al Governo e alla Regioni di rendere disponibili, aperti, interoperabili (machine readable), aggiornati e disaggregati i dati relativi all’emergenza Covid-19. La trasparenza è alla base di ogni democrazia, per questo motivo i dati devono essere pubblici e fare in modo che scienziati e giornalisti possano elaborarli, contribuire a monitorare il rischio epidemico, comprendere le scelte istituzionali fatte ed essere così parte di un processo di confronto e controllo democratico.

Per maggiori info: datibenecomune.it

[Foto: datibenecomune.it]