Si chiamano Albi, Andre, Bartolo, Beppe, Bronco, Lallo, Massi e Trap, gli 8 vigili del fuoco di Grosseto che, insieme al comandante Ennio Aquilino, sono saliti a bordo della Costa Concordia nella notte del 13 gennaio 2012, riuscendo a salvare oltre 60 persone che erano rimaste intrappolate nelle cabine e nei corridoi della nave. A dieci anni da quella notte, la loro storia è stata raccontata e raccolta nel libro “Apnea” di Luca Cari, responsabile della comunicazione in emergenza del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, e Virginia Piccolillo, giornalista del Corriere della Sera, edito da Mondadori, poi diventato un podcast e presto una serie tv, prodotti da Lux Vide. In questa intervista a Luca Cari, scopriamo insieme come è nato il libro e alcuni aspetti, anche emotivi, emersi durante l’intervento sulla Concordia.

Di quel 13 gennaio conosciamo praticamente tutto, dalle decisioni che hanno portato al naufragio alle storie delle persone coinvolte e dei familiari delle vittime. Grazie a questo libro si aggiunge un tassello in più, una storia che per dieci anni è rimasta “personale” legata alla prima squadra dei vigili del fuoco che è salita a bordo.

Per noi l’emergenza della Costa Concordia è stata lunghissima, in questo libro mi sono concentrato sulla prima notte perché c’è un aspetto discriminante rispetto agli altri interventi che hanno avuto i vigili del fuoco come protagonisti, come Rigopiano o il Ponte Morandi, ed è l’aspetto psicologico. Questi otto vigili del fuoco insieme al loro comandate hanno lavorato sulla nave mentre scivolava. Nel libro emerge proprio il rumore metallico della lamiera che strisciava sulle rocce, come una specie di terremoto. Sono tutti vigili esperti e conoscono bene il Giglio. Sapevano che, oltre il punto dove si trovava la nave in quel momento, c’era un dislivello con una profondità di settanta metri. Erano consapevoli che se la nave avesse continuato a scivolare, sarebbe stata completamente inghiottita.

Nonostante il rischio, hanno deciso di rimanere a bordo

La decisione è stata forte e insieme al loro comandante hanno scelto di continuare ad operare con l’obiettivo di salvare più persone nel minor tempo possibile, prima che la nave fosse inghiottita, questo poi non è successo, ma l’hanno scoperto solo il giorno dopo. Il rischio è stato alto anche nei giorni e nell’intero mese successivo che ha visto l’intervento dei sommozzatori, che hanno proseguito le ricerche nei corridoi che si erano trasformati in profondi pozzi con una scarsissima visibilità. In questo caso però il rischio era calcolato, c’era stata un’attenta valutazione del rischio con una esposizione più controllata.

Si sono trovati ad operare con la “convinzione di morire”?

Proprio su questo, nel libro, riporto una frase di Massimiliano Bennati (uno degli otto vigili del fuoco, ndr) che dice che non potevano fare diversamente. “Non me lo sarei mai potuto perdonare di uscire dalla nave senza aver fatto di tutto per salvare le persone rimaste a bordo”. In questi casi, da un lato, c’è sempre un gesto altruistico, che poi diventa egoistico verso le persone e i familiari a casa sapendo che potevano non tornare più indietro.

Nel libro c’è anche una forte parte emotiva

Sì, c’è sia la parte tecnica sull’intervento, dove cerco di spiegare quello che hanno fatto a bordo della nave e poi il racconto emotivo, delle emozioni e dei sentimenti che si sono sviluppati durante quella notte dove emergono tutte le difficoltà incontrate e le capacità professionali che hanno dimostrato in quell’intervento. Durante le interviste per il libro, gli otto vigili del fuoco, si sono ritrovati a rievocare e rielaborare quei momenti con una grande emozione e tanta commozione.

In questi casi si parla spesso di eroismo, possiamo dire che invece questi interventi sono il risultato della preparazione e dell’esperienza che maturano i vigili del fuoco?

Quando si parla di eroismo si rischia di caricare troppo la figura del vigile del fuoco che è invece preparato e ha fatto anni di sacrifici per arrivare a quel livello. In quegli anni si era da poco sviluppato il nucleo SAF (speleo alpino fluviale) e Grosseto era uno dei comandi all’avanguardia. Quando hanno ricevuto la chiamata dalla sala operativa, alcuni erano a cena insieme, sono partiti alla volta del Giglio ma ancora la situazione non era delineata. La squadra, insieme al comandante, ha messo in capo preparazione ed esperienza oltre allo slancio umano di ciascuno di loro.

Una volta a bordo che attività hanno svolto?

Fino all’alba si sono occupati della ricerca speditiva, una ricerca rapidissima, cabina per cabina. Hanno bussato alle 1500 porte delle cabine in cerca di feriti. Si sono fermati quando non hanno sentito più nessuno rispondere. Il libro si chiude all’alba del giorno dopo, i soccorsi non si sono però conclusi lì, è infatti salita a bordo un’altra squadra che ha trovato la coppia di sposini coreani e il giorno successivo il commissario di bordo, le uniche persone ancora in vita. Nonostante il forte impatto emotivo, a livello psicologico c’è una soddisfazione, da quando sono entrati a bordo non è deceduto più nessuno. Purtroppo le 32 vittime erano già morte, sono state infatti ritrovate nella parte della nave sommersa dall’acqua.

In conclusione, come è nata l’idea del libro?

Luca Bernabei, di Lux Vide, ha incontrato uno dei vigili del fuoco che gli ha raccontato, in parte, quello che hanno fatto nella notte del 13 settembre. Da qui è nata l’idea del libro e del podcast, in formato audio e video, con Carlo Lucarelli. Il progetto poi si amplia con una serie tv. Per noi è stata una bella emozione e abbiamo partecipato volentieri a questo progetto.

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[Foto di copertina: Dipartimento della Protezione Civile/Flickr]

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