Nella notte tra il 15 e il 16 settembre 2022 un forte nubifragio ha colpito Senigallia e altre zone delle Marche provocando numerosi danni e allagamenti in diverse città e purtroppo 10 vittime.

Il Capo Dipartimento della protezione civile, Fabrizio Curcio, ha dichiarato che in qualche ora è piovuto un terzo di quello che normalmente piove in queste zone in un anno, e in alcune zone ha piovuto il doppio di quello che piove in estate. Ha anche sottolineato come l’evento è stato molto peggiore di quello che era stato previsto.

Se apriamo Google per cercare aggiornamenti su questi fatti o apriamo i siti web dei principali giornali italiani troviamo titoli che si riferiscono a questo evento con il termine bomba d’acqua. Un termine impreciso dal punto di vista scientifico ma che, soprattutto dal punto di vista giornalistico, continua ad essere utilizzato. Un termine certamente evocativo e che appena lo sentiamo ci fa pensare al peggio ma è un termine che i giornali utilizzano proprio per questo, per il clickbait e per il sensazionalismo che genera rispetto a quello corretto, ovvero nubifragio.

Come dicevamo, dal punto di vista scientifico e meteorologico, il termine bomba d’acqua non vuole dire nulla. Una perturbazione durante la quale cade tantissima pioggia in poco tempo che, a causa della sua intensità e forza, provoca danni a cose e persone è un nubifragio e così deve essere chiamato da tutti noi, giornalisti e amministratori compresi.

In un post su Facebook che risale al 2014, proprio in seguito agli eventi che hanno colpito le Marche 8 anni fa, Filippo Thiery, meteorologo presso il Dipartimento della Protezione Civile scrive: “il termine “bomba d’acqua”, sempre più frequentemente utilizzato dai media, è un neologismo giornalistico (peraltro orrendo) che non ha alcun corrispettivo nella terminologia scientifica e meteorologica. Quando le piogge assumono una certa intensità si parla di “rovesci“, quando questi sono particolarmente forti danno luogo a “piogge torrenziali“, se poi cadono almeno 60 mm nell’arco di un’ora (o 40 mm in mezzora) si può parlare di “nubifragi” (che sono, per inciso, fenomeni tutt’altro che anomali nel clima mediterraneo, ci sono sempre stati, anche se negli scenari di riscaldamento globale si avviano a diventare più frequenti). Tutto il resto sono solo invenzioni, buone al più per qualche titolo sensazionalistico di quella parte di giornalismo che rientra, di pieno diritto, nella definizione di informazione-spazzatura”.

La corretta comunicazione d’emergenza parte anche da qui, dall’utilizzo di termini adeguati a descrivere i fenomeni che si verificano. La conoscenza e la consapevolezza dei fenomeni in corso e dell’emergenza climatica che stiamo vivendo parte anche da qui, dalle parole che utilizziamo per descriverle (anche a livello giornalistico).

I nubifragi, come sottolinea anche Thiery nel suo post, sono sempre esistiti. La criticità sta ora nella frequenza, sempre più ravvicinata, con cui si verificano e questa è una conseguenza di vari fattori che si sommano. I cambiamenti climatici in corso, ma anche la grave siccità che quest’anno abbiamo affrontato ma anche le scelte fatte (o non fatte) sui territori.

 

[Foto di copertina: maltempo Marche – Vigili del Fuoco]